LA RISURREZIONE

(DIAVOLATA E ANGELICATA)

Dramma religioso scritto nel 1752 dal Canonico Don Anzelmo Laudine

Il testo de "La Risurrezione" si compone di due parti: "Diavolata" e "Angelicata". Venne scritto dal Canonico adranita Don Anzelmo Laudine nel 1752. Si rappresenta ogni anno, il giorno di Pasqua, nella grande piazza Umberto di Adrano con sempre straordinaria partecipazione popolare.
La "Diavolata", in particolare, anche se scritta nel 1752, conserva integra tutta la suggestione delle sacre rappresentazioni popolari che in Italia, come si sa, ebbero la massima fioritura tra il tardo Medioevo e il Rinascimento. Essa viene regolarmente rappresentata da quasi 250 anni da "attori" dilettanti locali che si tramandano di padre in figlio i modi, i gesti e la declamazione dei versi.
La "Diavolata" simboleggia, in forma allegorica, "l'eterna lotta tra il Bene e il Male che termina, naturalmente, con la vittoria del Bene". La sua forte carica emotiva scaturisce dalla prepotente presenza delle forze del male (i diavoli Lucifero, Asterot e Belzebub), coadiuvate dallo spettrale personaggio della Morte, che incombono minacciose sulla scena, dall'inizio alla fine, in lotta aspra contro l'Umanità (simboleggiata da un bambino) a cui viene in soccorso, trionfante, l'Arcangelo Michele.
La "Angelicata", pur facendo parte del medesimo "dramma religioso", abbinata alla "Diavolata" si rappresenta con regolarità solo a partire dal 1980.
Di questa seconda parte non risulta storicamente chiara la destinazione e la modalità di rappresentazione: si può formulare l'ipotesi che essa venisse rappresentata o davanti all'ingresso di una chiesa diversa dalla Chiesa Madre, o nel corso delle processioni che avevano luogo il giorno di Pasqua con l'incontro tra i protagonisti della Risurrezione: gli Angeli, la Madonna e il Cristo.

LA DIAVOLATA

SCENA I

(Bosco) - Lucifero solo


Lucifero - E fia pur ver, che per un sol peccato io, spirito eccelso, entro le fiamme ardenti stanziar sempre dovrò? Vorrei morire! ma non mi è dato, ah! forse ciò permette il Ciel per più punirmi. Irato Ciel!
Dunque le mie sciagure mai cesseran? Peccò il mortale, e segue tutt'ora egli a peccar: per lui frattanto composto di vil polver un Dio non sdegna di farsi Uomo, e morire con morte vergognosa per torlo da mie man; perché poi fiero si fa contro me sol? Forse son'io di minor pregio all'uomo? Oimé infelice! Con chi mi lagno, se si mostra ogni uomo sordo alle mie querele?... Il maggior duolo che mi sorprende è quello che ignoro ancor dove del mio nemico giace l'alma orgogliosa. Entro nel Limbo non la ritrovo... ah! forse sarà in ciel?... Ma nel cielo, per potervi salire esser dovea non uom, ma solo Dio, perché l'Empiro sta serrato per l'uomo istessamente come è chiuso per me. Né si può dire che vi ascese qual Dio, perché morire appeso ad una Croce un Dio, no non potea. Se dunque in Cielo egli non è, né altrove, ah! con ragione deggio perciò temer ch'egli sia risorto o di fresco sarà lieto e festante, o che risorgerà fra poco istante.
Ma come? e fia pur vero? Oimé! che acerbo insolito contrasto di timor, di speranza, mi atterrisce, e spaventa... orsù una volta usciam d'affanni, a rimirar si vada l'avello ov'ei fu posto... Oh me dolente che vado più cercando? Ecco i suoi raggi come il sol più lucente tramanda in questo di; come nei prati odorifere piante in ogni dove germoglian fuor d'ogn'uso! In fin nel volto di qual si sia vivente si legge il brio, e il consuol perfettamente. E non son veri segni questi d'esser risorto il mio fiero nemico? Ed io lo soffro? e sto in ozio così?... Ma pria conviene meglio chiarirci, e poi la vendetta più orribile e tiranna si facci a chi crudel tanto mi affanna.

(Si avvicina dov'è il sepolcro).

Oimé! che miro! Ecco già caduta a terra la gran mole, ecco l'avello senza dell'odiato cadaver del nemico! ah! che più resta or da temer?... Confuso dolente, disperato ciò che mai far non so! Stelle spietate, di tormentarmi più quando cessate?

(Parte e si chiude il proscenio)



SCENA II

Asterot e Belzebub

Belzebub - Ma non comprendo invero d'onde nascono i tuoi furiosi trasporti, entro l'abisso, contro l'estremo duol de' mali tutti, mal peggior non potremo provar sicuramente; a che dolerti dunque senza cagion?
Asterot - Senza cagione nessun si lagna. E non ti è noto forse che risorse quel Cristo tanto nostro nemico?
Belzebub - Al vero dire par che impossibil sembri un tal risorgimento. E creder deggio risorto un uomo?
Asterot - E creder tu potevi morto fra ladri un Dio?
Belzebub - Come si voglia siasi, o caro: a noi che importa al fine il risorgere suo?
Asterot - Che importa? Oh quanti estremi danni e perdite sarem noi per provar! Tu sai, che il nostro leggier conforto era il veder piombare tutte le anime reprobe o dentro il fuoco eterno, o almen nel limbo. Or queste (Oh! nostro estremo duol! Oh! fier tormento) tutte in ciel saliran con lor contento.
BelzebubPerché salire in ciel?
Asterot - Perché il nemico col risorger da morte dié la vita al mortal, e dove il cielo era serrato allor l'inferno aperto. Or per nostro destin, per duolo eterno aperto sarà il ciel... chiuso l'inferno e questo è poco; il Limbo tutto è vinto, e quell'alme ch'eran nostre, si trovano sprigionate, e già sieguono con inni di gran laude il lor liberatore: il gentilesimo sarà disfatto, e un'alma, che sarà nostra. Non trovo onde sperar.
Belzebub - Che? forse mancano astuzie a noi per far che dentro il baratro lor malgrado ne cadano?
Asterot - Vane lusinghe! Ah! se la croce abbracciano ove fu appeso il loro Dio, con questo scudo troppo possente le nostre frodi gioveranno in niente.
BelzebubAh dunque che farem?
Asterot - Sin qui dipende - dal nostro Re il risolvere ciò che si debba far... ma se non erro veggio venir la morte, e con furore siegue l'umanità; quivi in disparte si osservi il fin.
Belzebub - E poi veduto questo? Asterot - E poi risolverà Pluton lo resto.

(si pongono in disparte)


SCENA III


Umanità con freccia e la morte che segue con arco e detti

Umanità - Superba, ho vinto già, mi segui invano, invan cerchi ferirmi, a'danni miei l'arco tuo più non val.
Asterot - (L'udisti?)
Belzebub - (Si, l'intesi - ma si ascolti ancor meglio).
Morte - Il gran poter - di quest'arco, ove fondi che non ha più valor?
Umanità - Perché '1 distrusse - il poter di un Dio.
Asterot - (Che barbaro destin!)
Belzebub - (Che fato rio!)
Morte - Un Dio no, non si oppone al mio giusto ferir.
Umanità - Perché?
Morte - La morte - da tutti fu contratta i figli suoi per un commesso fallo dell'inaccorto Adam.
Umanità - Ma quest'istesso cancellò col suo sangue l'umanato Signor, per questo effetto si compiacque morir.
Morte - Bell'argomento degno invero di te! Poteva mai il sangue ch'egli sparse lavar le colpe tue?
Asterot - (Par che la morte si difenda abbastanza)
Belzebub - (Ah! si, costei ci dà qualche speranza)
Umanità - Se vaglia il mio argomento, lo vedrai con tuo scorno.
Morte - Empia! non sai - quando d'Adam l'offesa si rendette infinita?
Umanità - Il so...
Morte - Se il sai non dir dunque che un uomo mi vedrai in avvenire - solamente ferita, e la mia morte or mi sarà di vita.
Morte - Dunque vediam se vano riesca di quest'arco il primiero poter.. ma dove sono le forze mie?... (in atto di ferire)
Umanità - Tel dissi - che non hai più possanza contro di me, vediamo se ferirti io potrò.
Morte - Tu?
Umanità - Si, il mio Dio così vuol, Egli qual Re e Signore divenuto tua morte, dell'infemo mostro spaventosissimo, ed eterno. (vibra il colpo)
Morte - Ah! che facesti, ohimé! chi mi soccorre? or che ferita io sono da braccio fraudolente, empio e ferino? 

(Mentre l'Umanità vuol andarsene; vien trattenuta da due furie)

Asterot e Belzebub - Ferma! ove vai, superba?
Umanità - Ahi che si vuole - fieri mostri da voi?
Asterot - Punir vogliamo - la tanta tua arroganza di tanto fasto - gonfia più non andrai.
Umanità - Che far volete?
Asterot e Belzebub - Farti preda vogliamo de'nostri artigli
Umanità - Mio Dio, deh! tu m'aita in tai perigli.


SCENA IV

Michele - Olà! chi tanto ardisce la delizia d'un Dio molestar così? Perversi! Infidi! E non vi è noto, forse, esser costei sciolta dai vostri lacci, or che compiuta è la sua redenzione?
Asterot - No, no, malgrado di chi l'assiste ei sempre nostra preda sarà.
Belzebub - Del nostro duce sarà tutta la cura, in sostenere il suo diritto, i suoi torti.
Michele - Ebben si lasci l'Umanità libera e sciolta, e poi venga ivi a momenti. Un sin grande prode a me: provar voglio di nuovo il suo valori ma!... 

(Vien l'indegno)

Asterot, Belzebub e Morte - (Difendici gran duce, è tuo l'impegno).


SCENA V

Lucifero e detti

Lucifero - Chi vuole il Re dell'ombre?
Michele - È questi appunto che fu teco a tenzon quando dal cielo ti discacciò ribelle.
Lucifero - E perché allora dal Ciel mi discacciasti, ed io il tuo ardire tralasciai di punir, perciò qui venni per veder, se or resisti al tremendo poter del braccio mio
Michele - Che far tu vuoi, mostro superbo e rio?
Lucifero - Punir la tua arroganza.
Michele - Istessamente
come punir l'ardisti
nell'impresa fatal (ironicamente)
Lucifero - Non sempre perde quel guerrier che combatte Asterot, Belzebub e Morte - E vincitor - non è
sempre chi vince
Michele - Un vil guerriero - perde sempre ogni volta chi ardise di pugnar. Che ciò sia vero or lo vedrai? Su tosto sparga la morte indegna l'inutil strale al suol.
Asterot, Belzebub e Lucifero - Perché?
Michele - Non lice più di ferir all'uom, che già dall'uomo è rimasta ferita.
Lucifero - Oimé! Un tal torto alla morte! E può tanto - l'uomo vil?
Michele - Si tanto puote, - se a lui benignamente il mio risorto Iddio - comunicò il poter.
Lucifero - Dove son io? (sorpreso)
Michele - Che? perdesti il vigor?
Lucifero - No, no, superbo! Anzi il vigor più cresce, or che mi vedo vilipeso così, così oltraggiato.
Asterot, Belzebub e Morte - Si, gran Re, tu ci aita in questo stato.
Lucifero - Tutto farò.
Michele - Ci proverem frattanto. Ubbidisca la morte, infranto al suolo getti quell'arco.
Morte - Eccolo in pezzi (spezza l'arco)
Tutte 4 le furie - (Ahi duolo!)
Lucifero - Vorrei...
Michele - Che cosa, indegno! Presto fra lacci insieme coi tuoi ribelli, e tu mia cara (all'Umanità) lega quell'empi.
Umanità - Appunto.
Tutte 4 le furie - Ah! dove mai, - dov'è il nostro valor?
Michele - Lo rese imbelle - la possanza d'un Dio supremo Re, Creator vostro e mio.
Tutte 4 le furie - Ma que' lacci perché?
Michele - Per non tentar - il redento mortal Lucifero - Molto t'inganni - se crede ciò.
Asterot, Belzebub e Morte - Con questi lacci ancora sarà sempre l'uomo vil, coi nostri inganni malgrado tuo, del tuo Signor risorto da mille colpe, e più reati assolto.
Michele - Tanto ardir con un Dio? Viva il mortal avvolto fra lordure, allor che umile d'un confessar a' piedi si condurrà, ben tosto gli saranno cancellate, e distrutte, il nobil frutto della morte di Cristo - tanto produsse.
Umanità - Oh Dio! chi non si strugge a un tanto amor?
Lucifero - Che affanno!
Tutte 4 le furie - Che rio dolor! Partiti almen, tiranno.
Michele - Sì partirò, ma pria-sentite il dolce suono degli encomi che spargono liete l'alme del Limbo.
Tutte 4 le furie - Ahi lasciaci partire non tormentarci almen.
Michele - No, vo che voi diate l'istesso evviva al Divin Padre vostro Dio e Creator, al Divin Figlio salvatore del mondo, al Santo Spirito ed all'eccelsa e pura - eroina del Ciel.
Tutte 4 le furie - Non sarà mai, non lo sperar.
Michele - Per forza empj il direte olà!
Tutte 4 le furie - Che sia per sempre maledetto...
Michele - Ah tacete lupi infernali, e dite presto, (li perquote)
Tutte 4 le furie - Ah fato a quanto il poter nostro adesso arriva!
Michele e Umanità - Il Ternario divin per sempre viva.
Tutte 4 le furie - Il Ternario divin per sempre viva.
Michele - Dite di più.
Tutte 4 le furie - Che sorte infida e ria.
Michele e Umanità - La speranza dell'uomo viva Maria
lTutte 4 le furie - La speranza dell'uomo viva Maria.


L'ANGELICATA

Aggiunzione delle parti del l° e 2° Angelo del TraSucco che si recitavano nella mattina di Pasqua dopo il Dialogo.

Angelo 1 - In ver molto mi laudo.
Gabriele - Dell'onore che spessamente ti comparte il Gran Dio.
Angelo 2 - Per qual cagione mi dici ciò.
Angelo 1 - Perché se accade in sorte dell'incamazion del Divin Verbo a te recar l'avviso all'Eccelsa Maria l'istesso preggio oggio a te si concede di renderla avvertita del suo risorgimento. Dunque che fai?
Angelo 2 - Andrò con mio contento; ma in qual parte potremo rinvenirla ben tosto?
Angelo 1 - Io mi figuro senza men nel Cenacolo. Là dentro ove il suo figlio amato inverso l'Uomo lasciò l'ultimo segno dell'ardente amor suo.
Angelo 2 - Sicuramente così sarà. Ma quale strano dolor cred'io sentirà nel suo Cor Priva di un figlio che era l'unico pegno delle viscere sue.
Angelo 1 - Ma quale adesso inusitate gioie proverà nel sentir, che la sua vita risorgette da morte glorioso, e splendente.
Angeli 1 e 2 - S'allegrerà di certo estremamente.
Angelo 2 - Ma senza più dimora a lei tosto si vada.
Angelo 1 - Andiam sì.
Angelo 2 - Ma oh Dio che è costei che rassembra un sol splendente in voto fra tenebre, ed orror.
Angelo 1 - Venusto invero è il suo sembiante oppresso da mestizia però.
Angelo 2 - Vedi che ardenti spessissimi sospiri tramanda dal suo cor.
Angelo 1 - Vedo che ancora calde ed amare lagrime versa dagli occhi suoi.
Angelo 2 - Ma quanto bella sembra in quel pianto!
Angelo 1 - Oh come ci rapisce in quel lutto!
Angelo 2 - E potrà darsi in festivo giorno.


(1950 - Filmato d'epoca)